“AMO LA MIA TERRA”, IL RACCONTO DELLA CHIESA VIVA

di Mario Barbarisi

C’è una Chiesa viva e in uscita che, attraverso questo articolo, siamo lieti di raccontare perché rappresenta l’immagine vincente e giusta per testimoniare la Fede. L’immigrazione, specie di questi tempi, fa notizia, sui Media spesso troviamo con ampia evidenza titoli e articoli che raccontano di sbarchi di profughi sulle coste siciliane. Non vi è traccia, invece, sempre sugli stessi Media, di un fenomeno speculare,  che vede migliaia di giovani italiani lasciare i luoghi di origine, prevalentemente piccoli paesi dell’entroterra del Sud Italia , nel tentativo di cercare miglior sorte: un lavoro stabile e ben retribuito. È la nuova emigrazione che contribuisce a spopolare interi centri abitati, case e terre abbandonate, scuole chiuse e parrocchie vuote. Un triste bilancio che accresce sempre più, di anno in anno, nell’indifferenza generale di politici ed amministratori locali. A Gibilmanna, in Sicilia, in occasione della 14esima giornata nazionale per la Custodia del Creato, organizzata dalla Cei in collaborazione con GREENACCORD e la Diocesi di Cefalù, abbiamo incontrato un gruppo di persone in t-shirt, una maglietta bianca ed una valigia di cartone. Si tratta di un movimento pacifico, che ha per nome proprio “ Movimento delle valige”, ed utilizza come simbolo le valige di cartone per rievocare l’ondata di emigrazione che investì il sud nel dopoguerra. Il Movimento, nato grazie a Padre Antonio Garau, parroco della parrocchia di S. Paolo Apostolo di Borgo Nuovo a Palermo, è itinerante, si sposta per sensibilizzare i cittadini e le autorità al problema della nuova emigrazione.

D. Padre Antonio, come è nata l’idea  di questo movimento?

R. La nostra realtà parrocchiale è molto povera, mancano adeguate risposte dello Stato, c’è delinquenza, dispersione scolastica; tanti giovani, purtroppo, si perdono con la droga, facendone uso o spacciandola, e poi c’è la Mafia, tutti fenomeni molto negativi .

D. Chi non vuole perdersi e desidera riscattarsi?

R. Non c’è molto da scegliere, la strada più praticata, purtroppo, è quella di andar via, emigrare in cerca di condizioni di vita migliori. 

D. Un fenomeno, se possiamo definirlo così,  che non riguarda solo i giovani?

R. No, è  la stessa Chiesa ad essere coinvolta perché non è in grado più di intercettare i giovani, incontrarli, capire le loro esigenze, essere punto di riferimento e dare risposte concrete.

D. Può la Chiesa recuperare il ruolo che secondo Lei ha perso?

R. La Chiesa deve necessariamente recuperare, al momento è in un pantano: c’è crisi di vocazioni, a Palermo, ma anche altrove, ci sono preti che lasciano il sacerdozio, e poi ci sono gli scandali.Dobbiamo, a mio avviso, affrontare i problemi, tutto questo non è  e non può essere considerato la normalità, c’è bisogno di una Teologia dell’incontro altrimenti rischiamo il fallimento. Gesù ci ha indicato la strada: dobbiamo amare il prossimo e per farlo non dobbiamo chiuderci ma incontrare gli altri.

D. Quali secondo Lei le piaghe più grandi della Chiesa?

R. I silenzi e la staticità,  c’è bisogno di agire, di contrastare con ogni mezzo tutto ciò che è negativo,  non si possono tacere fenomeni e scandali interni alla Chiesa, come accaduto in passato. La Chiesa non scende in strada per contrastare gli abusi, bisogna rivedere il ruolo e la centralità della formazione, a partire dai Seminari, riprendere temi che possano dare serenità e riportare in tutti fiducia e speranza. 

D. Il ruolo dell’informazione?

R. È un ruolo essenziale: “dare voce a chi non ha voce”! Questo è un compito fondamentale per servire la comunità. La Stampa deve avere il coraggio di non vendersi a nessuno e di parlare e scrivere liberamente; molti giornalisti non parlano di problemi reali perché dietro di loro ci sono, in alcuni casi, editori  coinvolti. Chi ama la verità deve servire la verità: non è possibile accettare passivamente che don Di Noto scopre l’esistenza di siti pedopornografici, ne parla la stampa di tutto il mondo, mentre in Italia la notizia è presente solo ed unicamente su Facebook. Siamo tutti coinvolti dobbiamo agire.

La Chiesa può fare tanto per i giovani e per la società, ma c’è bisogno di guarire le ferite e guardare avanti. Solo così potremo prenderci cura delle nostre comunità e contrastare “i viaggi della speranza “, interi centri abitati che si sono svuotati perché i nostri conterranei hanno deciso di andare via, in cerca di un futuro migliore.

D. Padre Antonio, Il Movimento delle valigie si fermerà in Sicilia?

R. Dopo che avremo incontrato tutti i vescovi della Sicilia chiederemo di essere ricevuti da papa Francesco. Quello che è importante è che il Movimento tocchi le coscienze. Oggi con i 5 minuti di silenzio, con il flash mob , abbiamo manifestato civilmente senza urlare,  è un momento che i presenti ricorderanno per tutta la vita perché il nostro silenzio è pari, per forza evocativa, al grido di dolore delle persone che chiedono aiuto. Le scritte sui nostri striscioni e sulle valige sono chiare: AMO LA MIA TERRA, NON VADO VIA,VOGLIO LAVORARE QUI!

Qui siamo nati, qui ci sono la nostra storia e le nostre tradizioni, ma soprattutto qui ci sono le radici e il seme del sacrificio, di chi ci ha preceduto e di chi ha dato la propria vita, esempi fulgidi da seguire: Don Puglisi, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri ancora. Restare in questa Terra, restare al Sud,  è anche, e soprattutto, una forma di rispetto nei confronti dei “nostri” martiri.


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