SCOPERTA NUOVA TERAPIA CONTRO L’ALZHEIMER

 

 

Periodicamente in questa pagina torniamo a parlare di Morbo di Alzheimer perché le malattie neurodegenerative  sono molto diffuse ed hanno un costo sociale elevatissimo.  Alla diffusione ed al costo si associa la considerazione che sono dovute a problematiche diverse e ben lontane dai comportamenti pregressi degli ammalati. In poche parole per chi è affetto da malattie infettive legate ad un proprio vissuto particolarmente pericoloso per la salute le conseguenze possono avere un tipo di accettazione diversa. La neurodegenerazione, invece, è una situazione patologica, al momento, senza ben precisi “colpevoli”. In Italia i malati sono 600mila, il 18% vive solo con la badante ed il 38% con badante e familiari. Il costo è da far paura: undici miliardi di euro all’anno pagati per il 73% dalle famiglie. Oltre al costo notevolissimo c’è da considerare che il nostro Paese è il più longevo tra le cosiddette nazioni progredite con 13,4 milioni di ultrasessantenni (22% dell’intera popolazione), e ci aspettiamo anche la continua progressione numerica della malattia, per cui i problemi saranno sempre  più grandi. La nostra preoccupazione è confermata dal fatto che nell’anno 2015 si sono registrati nel mondo 9,9 milioni di casi di demenza alla media di un caso ogni 3,2 secondi.  Altro dato europeo, ma soprattutto italiano è la concomitanza dell’invecchiamento tra malato e caregiver  (forma delicata anglosassone per dire badante) ed oggi l’età media è di 78,8 anni quando nel 1999 era di 73,6 anni. Contemporaneamente, purtroppo, aumenta l’assistenza informale  e/o privata e diminuisce l’intervento pubblico del 10% negli ultimi dieci anni, come diminuisce il ricorso ai farmaci per l’Alzheimer del 3,8% e l’assistenza domiciliare integrata delle ASL del  7,3%. Quindi in Italia e nel mondo, dove si invecchia maggiormente, cresce l’impatto della malattia ed il costo sociale e di pari passo aumenta l’isolamento dell’ammalato con una disponibilità di servizi sempre più ristretta.  Visti i dati più che allarmanti della progressione della malattia ci si chiede cosa si sta facendo per fermarne la progressione, visto che al momento non si conosce una terapia farmacologica specifica, anche se sono in itinere trials clinici di sperimentazione sull’uomo. A tal riguardo arriva dall’Università di Hong Kong e da quella di Glasgow un possibile nuovo farmaco che riduce il declino mentale e si chiama Interleuchina-33 (IL-33), già conosciuta per le sue caratteristiche antinfiammatorie. Nel cervello degli ammalati di Alzherimer ci sono in atto processi infiammatori e tossici dovuti a depositi di  beta-amiloide che “intossica” i neuroni ed impedisce le comunicazioni. I ricercatori cinesi ed inglesi hanno dimostrato negli animali da laboratorio affetti da demenza, che si riduce il deficit di memoria. Anatomicamente è stato anche riscontrato un ridotto danno ai neuroni per diminuzione della beta amiloide depositata e per minori stati infiammatori. Finalmente si inizia a vedere un poco di luce su di un argomento così chiuso alla speranza della guarigione.  Il mese scorso sulle riviste scientifiche è stato riportato un lavoro dell’Università di Melbourne che riferisce di una sperimentazione farmacologica con una molecola (CT 1812) che annulla e riduce gli effetti tossici della beta – amiloide (la proteina “cattiva” del sistema nervoso) e migliora la memoria, bloccando la progressione della malattia. Il farmaco è in compresse ed è somministrato in alcuni ospedali della città australiana a volontari dai 50 agli 80 anni.  Finalmente, quindi,  si inizia a vedere un poco di luce su di un argomento così chiuso alla speranza della guarigione e le cui origini sono molteplici. Va ricordato il ruolo, considerato dagli scienziati importante, del fattore genetico, come le cause ambientali, ma non sono oggi ben definite, e ci restano come altri “colpevoli” i fattori di rischio: ipertensione arteriosa, diabete, obesità e fumo.  Oggi ci si arriva prima alla diagnosi in 18/24 mesi  e comunque si commette l’errore di concentrarsi soltanto sul sintomo più noto, ovverosia la perdita della memoria. A tal proposito, secondo le ricerche del Centro Nazionale per l’Alzheimer in America, va considerato ogni tipo di variazione di comportamento  di un individuo. Questo perché  a seconda della porzione del nostro cervello che viene “attaccata” dalla malattia si producono dei campanelli d’allarme come la difficoltà nel leggere, nel parlare, nello scrivere, oltre ad una perdita di inibizione.  Visto che è stato dimostrato che l’insorgere della malattia  è procrastinato e l’andamento rallentato da  corretti stili di vita, prima che entrino in utilizzo per uso umano i farmaci in sperimentazione, vorremmo ricordare anche alcune recenti pubblicazioni che hanno esaltato in questo tipo di patologia il ruolo protettivo della nostra dieta mediterranea, dell’esercizio fisico moderato e la pari importanza di continuare a seguire i propri hobby  e mantenere sempre i rapporti sociali.
  gianpaolopalumbo.ilponte@gmail.com

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