Medicina ed eutanasia

 

 

L’eutanasia è un argomento che coinvolge emotivamente ogni persona, sia religiosa che non.
Si tratta di un metodo d’interruzione della vita che tende a ridurre le sofferenze dell’individuo, conducendo alla morte senza dolore e con dignità.
Umberto Veronesi ha dichiarato: “Ogni persona ha diritto di autodeterminarsi”, richiamando il modello legislativo olandese, ove l’eutanasia è consentita dai 12 anni d’età in poi.

Giovanni Paolo II, scrivendo sul tema ‘qualità della vita ed etica della salute’ diceva, in una lettera al Presidente della Pontificia Accademia della Vita: “La salute va custodita e curata come equilibrio fisico-psichico e spirituale dell’essere umano. ..”.
Il Santo Padre sottolineava così che difesa della salute e della spiritualità umana coincidevano, in quello che era un programma sociale volto sia alla difesa della salute che della spiritualità dell’individuo.
Per Ippocrate il medico deve avere sempre rispetto delle sofferenze del paziente mentre ne tutela la salute, conservare l’assoluta riservatezza, tendere al conforto umano (basati sulla –philia- amicizia e sull’ – agape – affetto), e difendere la dignità dell’individuo nella ricerca della guarigione.
Ma quando non c’è speranza di vita o di una qualità di vita dignitosa è corretto che una persona induca volontariamente la morte dell’altra ammalata, per porre fine a dolori e sofferenze?
Il giuramento d’Ippocrate dice: “Non somministrerò ad alcuno, anche se richiesto, un farmaco mortale, né  suggerirò un tale consiglio”. Anche a quei tempi i medici si trovavano di fronte a pazienti che chiedevano loro di essere aiutati ad anticipare la morte.
Nell’Antico Testamento, Re Saul chiede a un soldato di essere aiutato a suicidarsi. Costui accontenta il re, ma poi viene condannato a morte da Re David.
Platone, in La Repubblica, dice che la medicina deve lasciar morire i malati incurabili senza tenerli artificiosamente in vita.
Seneca sostiene che l’uomo saggio vive finché deve e non finché può.
Secoli dopo Francesco Bacone, medico e filosofo inglese, invita i colleghi a imparare l’arte di aiutare gli agonizzanti ad uscire da questo mondo  dolcemente con serenità. Chiaro il riferimento all’eutanasia, termine che deriva dal greco ed è composta di due parole ‘eu’ bene, e ‘thanatos’ morte, il significato finale è quindi ‘buona morte’.
Da una ricerca Statunitense emerge che molti pazienti affetti da grande sofferenza o disabilità gravi non richiedevano né l’eutanasia né il suicidio. In tali casi è chiaro che il problema dell’eutanasia non si pone. Altre volte, pur sussistendo la volontà del paziente, questa può essere stata influenzata da altre condizioni patologiche, quali la depressione endogena o reattiva. L’idea del suicidio è comune a molte condizioni depressive gravi. Nei malati terminali la depressione va prevenuta, anche per lasciare quella lucidità ed equilibrio mentale indispensabile per prendere liberamente una decisione di estrema importanza quale l’eutanasia. A tale obiettivo tendono tante iniziative di comunicazione e svago quali “il teatro entra in oncologia”, con i quali si prova ad allontanare, almeno per il tempo dello spettacolo, il pensiero del malato dalla sofferenza e dalla tristezza della malattia.
In definitiva è da considerare la volontà del paziente, ma anche gli elementi che possono influire sulla stessa.
Di fronte ad una situazione irreversibile in cui la morte è inevitabile, la somministrazione di farmaci che tolgano o riducano il dolore, quali la morfina, consentono di accompagnare il paziente alla morte con minori sofferenze e con dignità. È lecito andare oltre?
Per un credente la speranza non viene mai meno e, a volte, la fede è così forte da giungere a risultati insperati.

Per saperne di più:
http://www-ilfattoquotidiano.it/ 2014/11/24eutanasia-umberto-veronesi-ogni-persona-diritto-autodeterminarsi/1231248
raffaeleiandoli.ilponte@gmail.com

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