LA GOLOSITà é SCRITTA NEI NOSTRI GENI

  LA  GOLOSITà  é  SCRITTA NEI  NOSTRI  GENI

La voracità che abbiamo verso determinati cibi è legata al nostro DNA, mentre il gusto è vincolato da ben altro. Non è la genetica che ci comanda nello stabilire il gusto di un determinato prodotto. Ci sono altri…segreti che ci indirizzano verso un prodotto piuttosto che un altro e non sempre in base alla percezione gustativa. A riguardo un grande psicologo inglese dell’Università di Oxford: Charles Spencer in una sua recente pubblicazione ci ha spiegato come il senso del gusto sia influenzato da diversi elementi tra i quali il colore dell’alimento o il tipo di pacco che lo contiene. I vari esperimenti di dinamiche psicologiche hanno portato Spencer a pubblicare dati reali. C’è uno studio che ha evidenziato come una mousse mangiata in un contenitore bianco viene definita più dolce del 10% rispetto alla stesso prodotto servito in un contenitore nero. Altro esempio è quello del caffè che sembra molto meglio in tazza bianca che in una trasparente. Ci sono altri importanti lavori di Spencer tra cui quello sui biscotti lisci che sembrano più freschi e croccanti di quelli identici ma con qualche superficie irregolare in più. Altri “scherzi” della psicologia del consumatore riguardano la percezione del gusto di una bevanda a seconda del rumore che fa la lattina quando la si apre. Eppure oggi il gusto in senso anatomo-fisiologico è molto cambiato rispetto agli studi di medicina di tantissimi anni or sono. I gusti “in primis” erano solo quattro: amaro, dolce, aspro e salato. A questi fu aggiunto l’umami che i giapponesi hanno sempre considerato e che letteralmente significa “saporito”, che poi corrisponde al gusto del glutammato, l’aminoacido presente in buona quantità nei cibi particolarmente proteici come la carne ed il formaggio. Di recente è stato introdotto il sesto gusto che corrisponde al fritto ed il settimo al grasso. Ma il senso dei cibi non basta perché bisogna associare le sensazioni che si percepiscono sempre nel cavo orale: l’odore, la consistenza, la temperatura, il fresco, il metallico, ecc. Solo in questo modo il gusto diviene uno dei caratteri estetici dell’uomo, quale soggetto che appartiene ad un determinato gruppo sociale che poi mangia quasi sempre con lo stesso…”carattere”. Una cosa è certa il gusto significa ciò che abbiamo detto e la golosità è ben altro. La golosità di cui parliamo non è certamente il desiderio di guadagno o l’avidità per certi tipi di traguardi professionali. La nostra golosità riguarda il vizio della…gola, l’essere goloso di cibo, di bocconi prelibati. Non tutti si comportano allo stesso modo davanti a cibi ipercalorici, pur possedendo tutti in perfetto “funzionamento” i sette…… gusti. Ci sono individui che ingurgitano quantità eccessive di dolci. Oggi sappiamo che non è colpa loro, ma dei geni che compongono il loro patrimonio. Se siamo golosi lo dobbiamo al nostro DNA, che ci regala fin dalla nascita una golosità indomabile soprattutto per determinati cibi, che nella stragrande maggioranza dei casi sono terribilmente pieni di calorie. Nel novembre dello scorso anno a Los Angeles, in California, al meeting della Società per l’Obesità, l’inglese Professor Goldstone spiegò perché la scelta dei cibi è guidata non dal buonsenso e neppure dalla fame, ma è influenzata da due mutazioni genetiche a livello del FTO e del DRD2. Il gene FTO è quello che predispone l’uomo all’obesità mentre, il DRD2 è il gene che regola la dopamina a livello cerebrale. Per intenderci la dopamina è il più “simpatico” dei neurotrasmettitori, perchè è quello che ci predispone al piacere. La dopamina, sostanza chimica “edonistica” per eccellenza, creata naturalmente dal cervello, ci fa sentire bene. Si produce dopamina in risposta a un’attività piacevole come mangiare o vedere vincere la propria squadra. Con un livello troppo basso, ci si sente depressi e si perde l’ interesse per le cose che si fanno. Il consiglio migliore per i depressi in campo nutrizionale è quello di mangiare cibi contenenti un alto livello di tirosina. Per poter produrre dopamina, il corpo ha bisogno di tirosina, una sostanza che, dopo essere stata processata in vari termini tecnici e di sintetizzazione, si trasforma nel carburante della felicità. Mandorle, avocado, banane, semi di sesamo, latticini a basso contenuto di grassi, carne, pollame, fagioli e semi di zucca sono tutti cibi che favoriscono la produzione di dopamina. Tuttavia, molti latticini e molte carni sono altamente calorici e ricchi di grassi, quindi si deve fare attenzione e tenere sotto controllo il numero di calorie ingerite. Lo studio guidato da Tony Goldstone è stato incentrato sull’esame del DNA di vari individui di varia stazza fisica, per cui si andava dai filiformi longilinei agli obesi di bassa statura. A tutti è stato proposto il “test della golosità”, facendo vedere loro immagini di cibi di diversa origine, tra cui delle vere e proprie bombe caloriche. Le loro risposte sull’attrazione o meno di queste pietanze sono state raccolte mentre i volontari erano sottoposti a risonanza magnetica che controllava la loro attività cerebrale. Dalle varie risonanze è venuto fuori che tutti coloro i quali presentavano mutazioni nel proprio DNA a carico dei geni FTO e DRD2 erano molto più golosi e non riuscivano a resistere alla vista di cibi ipercalorici. Il loro cervello, all’esame radiologico, mostrava un’iperattività a livello dei centri del piacere e della ricompensa alla sola vista dei cibi incriminati. Questa scoperta potrà essere utile allorquando saremmo capaci di fare in modo di “guarire” le mutazioni genetiche di FTO e di RDR2. Quello descritto sembra il primo approccio per una dieta personalizzata dimagrante, ma per adesso potrebbe essere considerato il primo baluardo per chi, alla sola vista di cibi ricchi di grassi e ricchissimi di zucchero, non riesce assolutamente a resistere alle grasse e dolci tentazioni.
Gianpaolo Palumbo gianpaolopalumbo.ilponte@gmail.com

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